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Un viaggio missionario nel Congo profondo

Un viaggio missionario nel Congo profondo

(Nella foto: P. Franco Laudani, Leonard Ndjadi e Bob a Buta)
 

 
Da Buta, RD Congo, P. Leonard Ndjadi Ndjate


Saluti fraterni da Buta dove siamo arrivati ieri alle 17:55. Abbiamo lasciato Kisangani venerdì 24 settembre alle 5:35. Eravamo in cinque: P. Franco, P. Roberto, Serge (l'autista), Mapasa (l'assistente-autista) e io. Poiché la compagnia aerea SJL aveva sospeso i voli, abbiamo deciso di viaggiare in macchina, consapevoli del prezzo che questa scelta comportava.

Da Kisangani a Banalia abbiamo fatto un viaggio tranquillo. La strada era percorribile. A mezzogiorno siamo arrivati a Banalia e, dopo aver mangiato presso le Suore della Dottrina Cristiana, abbiamo attraversato il fiume Aruwimi. Con noi c'erano due veicoli di Medici Senza Frontiere. La Provvidenza ci ha messo sulla loro strada, perché senza di loro non saremmo arrivati a Buta due giorni dopo. Dopo la traversata, abbiamo preso la strada per Buta. Dopo appena un chilometro, abbiamo incontrato il primo grande pantano che ci ha impedito di continuare. Vedendo questo, il veicolo di Medici Senza Frontiere è tornato indietro e, dopo un'ora di tentativi, siamo usciti. Erano già le 16:50.

Proseguire il viaggio a quest'ora significava accettare di dormire sulla strada, immersi nel pantano, nell'oscurità totale ed essere esposti a zanzare e altri insetti selvatici. Così abbiamo deciso di tornare a passare la notte a Banalia per riprendere il cammino al mattino. Il convoglio di Medici Senza Frontiere ha fatto la stessa scelta che abbiamo fatto noi. Siamo tornati e abbiamo passato la notte al centro di accoglienza Limif. Una stanza costa 20 dollari. Dopo esserci sistemati, siamo usciti a cercare il Malewa e abbiamo trovato: riso, pondu e koto, il maiale selvatico. È molto buono. Poi siamo tornati a prendere l'acqua che mio fratello, Jean Robert Ndjadi, ci aveva procurato la sera prima del viaggio. La mattina, alle 7.30, siamo andati a prendere un caffè nel villaggio. L'abbiamo trovato. Poi è iniziata l'avventura del viaggio.



Il Calvario

La strada è così brutta che la gente chiama questo tragitto «Il Calvario». I primi 35 chilometri di Banalia sono impraticabili, costellati da grandi pantani, a volte profondi, a volte inaccessibili e quindi si è costretti a farsi strada per passare. Questo lavoro richiede molto tempo, energia e mezzi. Perché gli abitanti del villaggio, che vengono in nostro soccorso, chiedono 50 dollari. Le discussioni iniziano e poi si trova una soluzione. Più sono numerosi, più velocemente va il lavoro e più tempo si guadagna. Non potete immaginare la sofferenza delle popolazioni di questa parte del Congo e questo ci porta a chiederci perché lo stato congolese non è in grado di sistemare questi 35 km di strada.

In alcuni luoghi, dove è difficile passare anche con la moto, questi volontari vengono in soccorso dei motociclisti. Questi trasportano 300-400 chili su una sola moto e percorrono quasi 800 km (da Butembo, Isiro, Bunia, Kisangani fino a Baye nel nord del Congo, 70 km da Bondo). Baye è una città orifera, uno scandalo geologico, dove loro vendono i loro prodotti e comprano oro. Quando un motociclista cade, è difficile che riesca a sollevare la moto da solo. Ecco perché viaggiano sempre nei convogli e sono molto cordiali, con la musica sulla moto per il relax e il buon umore.

Abbiamo percorso 35 km in 7 ore, fermati dai pantani, aiutati dall'organizzazione Medici Senza Frontiere che aveva una catena per tirare fuori le auto dal fango e dall'acqua. Anche il loro veicolo si incastrava, ma presto l'altro veicolo veniva in soccorso e avanzavano. Siamo determinati ad arrivare e i medici da Kole intendevano proseguire fino a Mangi dove portano avanti una campagna contro la meningite.

Ho capito che nella vita missionaria non c'è cambiamento senza la determinazione. Percorrono questo tratto di strada solo coloro che sono determinati perché spinti da una causa nobile. Per noi è l'annuncio di Gesù Cristo ai nostri fratelli e sorelle di Buta e la grazia di lasciarsi evangelizzare da loro, rimasti a lungo senza la presenza dei missionari. Per i nostri medici, era l'aiuto umanitario, la salute della popolazione di Mangi.
 
Il secondo giorno del nostro viaggio speravamo di arrivare a Buta ma purtroppo non siamo riusciti a farlo. Arrivati a 61 km, ci siamo trovati di fronte a un ostacolo notevole. Eccoci impantanati per l'ottava volta. Sono le 18:30, minaccia di piovere, il convoglio dei medici non è più con noi. L'autista Serge e il suo aiuto Mapasa stanno cercando di far uscire il nostro veicolo dal pantano, ma gli sforzi sono insufficienti di fronte all'ostacolo. La provvidenza fa arrivare tre giovani volontari che cercano invano di aiutarci. Io stesso scendo dalla macchina per dare una mano, ma niente. Nel frattempo, una forte pioggia si abbatte su di noi, padre Franco ha la diarrea. Deve ritirarsi in disparte per risolvere il problema. Padre Roberto gli presta un po' di carta igienica. Chiedo all'autista di spegnere le luci dell'auto per evitare che la batteria si scarichi. Quindi arriva il buio, il nero della nostra impotenza di fronte a un ostacolo importante. Prendo il breviario, recito i vespri per mantenere la fiducia, rafforzare la determinazione e incoraggiare gli altri. Alle 5:30 eravamo lì a 61 km da Buta, senza aver dormito, senza aver mangiato, senza una soluzione, il veicolo impantanato. È allora che ho deciso di andare al villaggio, a un chilometro di distanza per cercare rinforzi.



Arrivo a Buta

Alle 8 il veicolo è finalmente uscito dal pantano per la gioia di tutti e siamo entrati nel villaggio. Arrivati al km 58 chiedo all'autista di fermarsi per salutare il capo del villaggio. È felice della nostra presenza e ordina immediatamente di uccidere le galline per noi. È stato bello il suo gesto. Dopo un momento di preghiera, abbiamo benedetto il capo e siamo partiti. Eravamo impantanati a 37 km, a 33 km, ma siamo riusciti a uscirne. Così siamo andati avanti fino a Buta.

Questo viaggio mi ha aiutato a capire che ciò che conta è l'esperienza di Dio che arde il cuore del missionario e gli dà una forza interiore capace di affrontare i pericoli della strada, i rischi del viaggio, la difficile missione e la precarietà delle condizioni materiali della sua missione. Questa esperienza di Dio lo fa meravigliare anche di fronte all'accoglienza e alla generosità delle persone, lo porta a fare le mediazioni lungo il viaggio, gli dà la pazienza di aspettare l'altro. La determinazione missionaria è frutto dell'esperienza di Dio.

 

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